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Nel 1959 Piero Manzoni firma corpi di donne e le intitola “Sculture viventi”. Nel 1974 Joseph Beuys, lo “sciamano” dell’arte, si chiude per tre giorni in gabbia con un coyote, simbolo degli Stati Uniti, tentando invano di comunicare con lui. Nel 1989 James Lee Byars, avvolto in un abito dorato, brucia una sfera di arbusti simbolo del suo incendiario potere creativo. Nel 1997 Marina Abramovic pulisce centinaia di ossa di animali, cantando canzoni tristi per ricordare la guerra dei Balcani. Tutti questi sono esempi di performances artistiche. Sembra strano, ma in questa nuova forma d’arte, l’opera non c’è. L’artista performer non vuole più creare un oggetto concreto e tangibile: un dipinto, un scultura, un video. L’opera è la sua azione che si consuma in un preciso momento e in un determinato spazio, importante tanto quanto la reazioni dell’osservatore, o meglio dello spettatore. La sua presenza è fondamentale: senza di lui la performance non avrebbe nessun senso.


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Nel 1959 Piero Manzoni firma corpi di donne e le intitola “Sculture viventi”. Nel 1974 Joseph Beuys, lo “sciamano” dell’arte, si chiude per tre giorni in gabbia con un coyote, simbolo degli Stati Uniti, tentando invano di comunicare con lui. Nel 1989 James Lee Byars, avvolto in un abito dorato, brucia una sfera di arbusti simbolo del suo incendiario potere creativo. Nel 1997 Marina Abramovic pulisce centinaia di ossa di animali, cantando canzoni tristi per ricordare la guerra dei Balcani. Tutti questi sono esempi di performances artistiche. Sembra strano, ma in questa nuova forma d’arte, l’opera non c’è. L’artista performer non vuole più creare un oggetto concreto e tangibile: un dipinto, un scultura, un video. L’opera è la sua azione che si consuma in un preciso momento e in un determinato spazio, importante tanto quanto la reazioni dell’osservatore, o meglio dello spettatore. La sua presenza è fondamentale: senza di lui la performance non avrebbe nessun senso.


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