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Martial Raysse nasce nel 1936 in Francia. Quando scoppia la seconda guerra mondiale è ancora un bambino, mentre l’Europa si riprende dagli orrori della guerra è appena adolescente. Negli anni ‘60 è un ragazzo che va al cinema e vede Marilyn Monroe, ascolta il rock and roll e alla tv guarda i primi spot pubblicitari a colori. Cresce nel sud della Francia, frequenta Nizza e si diverte con i suoi amici artisti sulle spiagge della Costa Azzurra, balla nei locali più in voga del momento con le insegne al neon e le luci stroboscopiche. Ma non esiste solo la vita mondana; Martial ama anche studiare: fin da giovanissimo compone poesie e a 20 anni si iscrive all’università di Lettere a Nizza. Si appassiona alla storia dell’arte, soprattutto quella francese e italiana: Giotto, Leonardo da Vinci, il Pollaiolo sono gli artisti che preferisce. A un certo punto decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi all’arte: comincia a fare i primi disegni astratti ma capisce subito che gli interessa qualcos’altro. Scopre il fascino di un materiale nuovo, quasi sconosciuto fino a quel momento, la plastica. Setaccia negozi e supermercati in cerca degli oggetti più popolari e colorati, che usa per tele, sculturine, installazioni, assemblaggi e dipinti a tre dimensioni. Copia capolavori della storia dell’arte ma sostituisce i colori delicati degli originali con tinte squillanti e contrastanti: trasforma l’odalisca di Ingres in una donna seducente, Brigitte Bardot in una figura sacra da venerare. Crea finte spiagge con materassini gonfiabili e juke-box, dirige film psichedelici popolati da personaggi bizzarri, assembla oggetti trovati per strada o sulla spiaggia e aggiunge alle tele tubi al neon di tutti i colori. In America scopre la pop art, frequenta la beat generation, prova droghe allucinogene e chiude in scatole di legno funghetti e mondi psichedelici. In poche parole si diverte con l’arte, inserendo nelle sue opere i temi e gli oggetti caratteristici degli anni in cui vive. Ma πάντα ῥεῖ, tutto scorre, e negli anni '80 Martial è un uomo adulto, stanco della cultura pop e della sua superficialità. Comincia così a dedicarsi all’arte “tradizionale”, quella fatta con bronzo, tempera e grandi tele. I colori sono sempre più scuri e le composizioni riprendono scene sacre (l’ultima cena) o mitologiche, (la storia di bacco, il dio del vino), sempre reinterpretate con ironia e leggerezza. Se prima ritraeva star del cinema e delle riviste, in questi anni dipinge persone comuni, amici e familiari. E quando non ha un modello a portata di mano, si mette in posa e realizza degli autoritratti. Martial ha cambiato vita, è diventato introspettivo e profondo: vive nella campagna francese, spesso da solo. Ora per lui tutto quello che conta è dipingere e solo dipingere.
Martial Raysse nasce nel 1936 in Francia. Quando scoppia la seconda guerra mondiale è ancora un bambino, mentre l’Europa si riprende dagli orrori della guerra è appena adolescente. Negli anni ‘60 è un ragazzo che va al cinema e vede Marilyn Monroe, ascolta il rock and roll e alla tv guarda i primi spot pubblicitari a colori. Cresce nel sud della Francia, frequenta Nizza e si diverte con i suoi amici artisti sulle spiagge della Costa Azzurra, balla nei locali più in voga del momento con le insegne al neon e le luci stroboscopiche. Ma non esiste solo la vita mondana; Martial ama anche studiare: fin da giovanissimo compone poesie e a 20 anni si iscrive all’università di Lettere a Nizza. Si appassiona alla storia dell’arte, soprattutto quella francese e italiana: Giotto, Leonardo da Vinci, il Pollaiolo sono gli artisti che preferisce. A un certo punto decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi all’arte: comincia a fare i primi disegni astratti ma capisce subito che gli interessa qualcos’altro. Scopre il fascino di un materiale nuovo, quasi sconosciuto fino a quel momento, la plastica. Setaccia negozi e supermercati in cerca degli oggetti più popolari e colorati, che usa per tele, sculturine, installazioni, assemblaggi e dipinti a tre dimensioni. Copia capolavori della storia dell’arte ma sostituisce i colori delicati degli originali con tinte squillanti e contrastanti: trasforma l’odalisca di Ingres in una donna seducente, Brigitte Bardot in una figura sacra da venerare. Crea finte spiagge con materassini gonfiabili e juke-box, dirige film psichedelici popolati da personaggi bizzarri, assembla oggetti trovati per strada o sulla spiaggia e aggiunge alle tele tubi al neon di tutti i colori. In America scopre la pop art, frequenta la beat generation, prova droghe allucinogene e chiude in scatole di legno funghetti e mondi psichedelici. In poche parole si diverte con l’arte, inserendo nelle sue opere i temi e gli oggetti caratteristici degli anni in cui vive. Ma πάντα ῥεῖ, tutto scorre, e negli anni '80 Martial è un uomo adulto, stanco della cultura pop e della sua superficialità. Comincia così a dedicarsi all’arte “tradizionale”, quella fatta con bronzo, tempera e grandi tele. I colori sono sempre più scuri e le composizioni riprendono scene sacre (l’ultima cena) o mitologiche, (la storia di bacco, il dio del vino), sempre reinterpretate con ironia e leggerezza. Se prima ritraeva star del cinema e delle riviste, in questi anni dipinge persone comuni, amici e familiari. E quando non ha un modello a portata di mano, si mette in posa e realizza degli autoritratti. Martial ha cambiato vita, è diventato introspettivo e profondo: vive nella campagna francese, spesso da solo. Ora per lui tutto quello che conta è dipingere e solo dipingere.